LA SCOPERTA - impressioni da La grande bellezza di Sorrentino

 

“Viaggiare, è proprio utile, fa lavorare l'immaginazione. Tutto il resto è delusione e fatica. Il viaggio che ci è dato è interamente immaginario. Ecco la sua forza. Va dalla vita alla morte. Uomini, bestie, città e cose, è tutto inventato. È un romanzo, nient'altro che una storia fittizia. Lo dice Littré, lui non sbaglia mai. E poi in ogni caso tutti possono fare altrettanto. Basta chiudere gli occhi. È dall'altra parte della vita.”

Louis-Ferdinand Céline

 Una notte d’estate quasi fredda, un po’ di gelato, il silenzio e la grande bellezza. 

Ho rivisto la grande bellezza per l’ennesima volta e non mi capacito di quanto quel film riesca a risuonarmi. Dall’inizio alla fine. Ogni volta capto novità, mi cullo della bellezza, dell’interminabile ricchezza che c’è tra un’inquadratura e l’altra, nel montaggio meticoloso che riesce a ritagliare e far arrivare quell’istante di senso, tra lo scorrere delle scene. È nell’attesa delle parole pronunciate, dei gesti, di una melodia e di un’immagine che vengo riempita dalla poesia di questo film.

 È nella scoperta.

 La consapevolezza di non poter mai acquisire un’abilità, degli strumenti pragmatici per poter abbracciare questa poesia. “Divenire abili è triste” perché ci oscura la vista: chi è destinato alla sensibilità è destinato ad essere sempre in viaggio come si legge nella frase di Celine ad inizio film, perciò, è destinato alla ricerca costante.  Si può dire una condanna perché il peregrinare anche dell’immaginazione è faticoso e quindi doloroso, perché si è mossi da una curiosità interiore la cui fonte è ambivalente: inconsciamente sappiamo che quel desiderio di viaggio è attraversato, oltre che dalla meraviglia del percepire nuovi orizzonti, dall’orrido di questa stessa percezione, come la sensazione di disgusto e interesse alla visione di un cadavere, che descrive Socrate. 

Questo desiderio rimanda a noi stessi, al “chi sei tu”? “Chi sono io”? Che resta di me, in mezzo a questo universo sia muto che logorroico, indaffarato e immobile, reale ma assente? Siamo riempiti dall’"imbarazzo di stare al mondo" e come jep non sappiamo che dire e si resta con le parole incastrate nella gola. 

È nell’espressione facciale del rimanere a bocca aperta, come a voler dire qualcosa nell’esprimere un’emozione di forte stupore, che può essere, sia per qualcosa di magnifico, ma anche per qualcosa di veramente terribile, che sentiamo di essere invasi da questo senso di scoperta. La nascita e la morte insieme. Tutto risucchiato in questi “sparuti e incostanti sprazzi di bellezza” che sanno di mare. Perché il mare è salato come le lacrime.  

Al banchetto della nascita di Afrodite, dunque della bellezza, c’erano penia, la povertà e poro, l’espediente, che hanno dato vita ad un demone Eros, l’amore. Allora alla fine del film, quando jep che possiamo associare a poro, in cerca di soluzioni, rimasto in compagnia dell’assenza delle persone con le quali “era stato bello volesse bene” incontra poros, la santa, che magia le radici perché per lei sono importanti. Quel vuoto, silenzio che sente intorno e quella semplicità della santa lo ricompongono e lo rimandano al suo primo amore, al faro, sugli scogli, di notte dove per la prima volta aveva assaporato la bellezza ed è nel ricordo e quindi nella riscoperta di quell’istante di cristallo già vissuto che ritrova l'ispirazione, il bisogno di raccontare.

Qua quando jep racconta la sua prima volta, dal mio punto di vista racchiude ciò che ho descritto in questo piccolo articolo: il montaggio, il rimanere sospeso delle parole, la delicatezza:

https://youtu.be/8zKKr7oTCyw?si=lg4-sY8u-BrCmsv_

Commenti

Post popolari in questo blog

CONCHIGLIE

Perché

Ode al mare di un pesce fuor d'acqua.